11-06-2016
Perché l’Europa non agisce. Perché, invece, dovrebbe farlo
Una questione di priorità. È sempre una questione di priorità. L’Europa è in affanno, impelagata negli accordi dal sapore di pretese con la Turchia, con un occhio al Regno Unito perché, si sa, il suo destino e quello dell’Ue sono in mano alla Brexit. L’altro occhio guarda in direzione delle barriere anti-migranti, entrambe le orecchie sono tese a quelle micce che pervadono l’Europa e in grado di farne saltare in aria gli equilibri. E mentre l’Europa stessa, dritta sull’alto gradino di un precario controllo, maneggia i fili della coesione, la Siria brucia ancora, trafitta dall’indifferenza. È tempo di ammettere che gli sforzi di pace degli Stati Uniti e della Russia hanno fallito rovinosamente. Forse il cambiamento avverrà in stretta relazione con il passaggio di testimone alla presidenza americana, o forse no. Forse. È tutta una supposizione che lascia spazio a una sola certezza: l’Europa deve agire, e il tempo di agire è adesso.
Della Siria si parla, è vero. Tracce delle bombe lanciate da Russia e forze dell’esercito siriano, sempre sulla stessa e ormai famosa città di Aleppo, sono sparse qua e là su internet. Ospedali distrutti, corpi di bambini dilaniati dall’orrore fanno breccia nel cuore di molti la prima volta, per poi infrangersi sul muro del “ormai è l’ordinario, non fa più effetto” già al diffondersi di una seconda e ripetitiva notizia, che cade nel vuoto dell’indifferenza che, quei bambini, li uccide una seconda volta. Ammettiamolo: siamo divenuti lentamente impassibili di fronte alla sofferenza dei siriani. Certo, un po’ gioca duro quel concetto di vicinanza psicologica e fisica di sociologica memoria, un po’ si impone il bombardamento mediatico che poco o nulla aggiunge a ciò che è già sotto gli occhi di tutti. Non importa quale dei due aspetti prevalga, la cosa certa è che ignoriamo la Siria a nostro rischio e pericolo. Le future generazioni arabe e musulmane, se non oggi, chiederanno in futuro agli europei il perché del mancato supporto alle popolazioni macellate dall’esercito di un dittatore e da quelli dei suoi alleati. Il destino dell’Europa è irrimediabilmente attorcigliato a quello dei “vicini” arabi. Per ogni rifugiato siriano accolto decentemente in Europa, quanti sono stati respinti o bloccati nelle zone di guerra, alimentando quel motore di risentimento verso l’Occidente che costruisce recinti di filo spinato intrecciati con le sue stesse mani?
Siamo preoccupati per il terrorismo e per il numero sempre crescente di rifugiati, troppo concentrati sugli effetti per poter dare spazio a una riflessione sulle cause. E queste cause sono a Raqqa, capitale del sedicente Stato Islamico, e sono nel palazzo presidenziale di Damasco. La maggior parte di noi vede la Siria essenzialmente come un problema di terrorismo. I governi incoraggiano tale meccanismo, perché spedire aerei militari è più facile che ammettere la complessità di una realtà molto più aggrovigliata che rappresenta il peggior disastro umanitario del nostro tempo. In Siria ed Iraq, i gruppi jihadisti sono stati, in un certo senso, messi sulla difensiva, e l’occidente ha supportato forze curde e arabe che sembra si stiano riprendendo porzioni sostanziose di territori. Ma questa è solo una parte del quadro dipinto dall’Occidente, l’unica porzione di ritratto che si preferisce mostrare.
L’altra parte, quella mimetizzata, riguarda la massa dei rifugiati che dalla Siria è partita alla volta dell’Europa nel 2015. L’altra parte riguarda Bashar al Assad e la guerra civile iniziata nel 2011 quando il presidente ordinò alla sua sicurezza di aprire il fuoco su pacati manifestanti che stavano chiedendo una rivoluzione democratica come in Tunisia. Un Assad sostenuto da Russia e Iran, che ha rilasciato militanti islamici dalle sue prigioni e si è assicurato che il mondo vedesse la Siria in termini binari: Assad contro i jihadisti sunniti. La radicalizzazione è cresciuta nelle truppe dell’opposizione armata siriana, un fenomeno senza dubbio incoraggio da alcuni finanziatori del Golfo. Ma l’opposizione siriana non deve essere sottovalutata. Se si fosse trattato di poco più che un gruppo di radicali islamisti, non avrebbero avuto luogo i complicati negoziati di pace con sede a Ginevra. Le trattative sono andate avanti, con la Russia che nel settembre 2015 si impegnava a lanciare il suo intervento militare. Le trattative erano volte a bloccare la guerra civile. Ma hanno fallito.
Nel dicembre del 2015, il consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato unanimemente per una decisione che chiudesse definitivamente il ciclo della guerra e offrisse alla Siria un nuovo governo. L’accordo fu salutato come un notevole passo verso la pace: un nuovo governo “credibile, inclusivo e super partes” che avrebbe visto la nascita dopo 6 mesi ed elezioni “libere ed eque", conseguenti a una nuova costituzione dopo 18 mesi. Ma ora, l’Onu sembra solo capace di aspettare che il regime di Assad dia l’autorizzazione a portare aiuti alle aree e alle città che le sue forze assediano. Mesi dopo, Assad si è premurato di fornire alle popolazioni solo shampoo anti-pidocchi, reti per le zanzare e quei vaccini permessi nella città di Darayya, sotto il controllo del regime dal 2012. Questa settimana è arrivato del cibo, pubblicizzato come fosse un evento straordinario. Ma ancora 600mila siriani vivono in stato di assedio.
Molto è stato detto sul potere in via di tramonto degli Stati Uniti. È difficile non essere d’accordo con il fatto che la soluzione in Siria può essere trovata solamente con la cooperazione della Russia che, nonostante l’ammorbidimento di marzo, si è trincerata nel conflitto, schierando aerei e sistemi di difesa a tutela dei propri interessi e di quelli del regime di Assad che protegge. A essere protetto è Assad, non sono i civili. Dopo mesi di stallo, l’unica cosa che la Russia ha offerto alla Siria è rappresentata dagli attacchi alle popolazioni civili. Come ad Aleppo, dove i bombardamenti si sono intensificati nelle ultime settimane. Ad Aleppo, dunque, non nelle fortezze dell’Isis a est.
Il potere dell’Europa è, ovviamente, rimpicciolito dalla forza degli Stati Uniti. Ma non è inesistente, se riesce a consolidarsi attorno alla questione. L’Europa ha più pericoli in Siria rispetto agli Stati Uniti, poiché la sua politica nazionale e la sua sicurezza sono stati colpiti direttamente dalla guerra. Arrivare a patti con questa realtà deve essere una priorità per gli europei prima che sia troppo tardi. La Russia è la vicina dell’Europa, e l’Europa deve far leva sui suoi muscoli ed esercitare pressione su Putin. Il presidente russo non chinerà il capo, ma la situazione economica del suo Paese si sta sbriciolando tra le sue mani. Non ci sono soluzioni facili. Ma finché Stati Uniti e Russia siederanno da sole al tavolo delle trattative, gli interessi europei soffriranno, insieme alle vittime civili siriane.
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