11-09-2016
'Tre mezze pippe': Di Battista, Di Maio e Fico nel mirino del governatore della Campania. Ma per i pentastellati non è certo la prima volta
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che ogni venerdì commenta la situazione politica ai microfoni dell’emittente televisiva locale Lira Tv, fa spesso parlare di sé per gli epiteti e le metafore di cui si serve per definire i suoi avversari politici. Ultimi (e non certo per la prima volta) a finire nel mirino delle sue performance associative, alcuni componenti del «circo equestre» – così lo battezza – del Movimento 5 Stelle. Commentando la contingenza politica in cui versa la Capitale sotto la guida di Virginia Raggi, da lui definita, lo scorso luglio, «bambolina imbambolata», De Luca, con i toni biblici e le narici scaltre di chi ha (o crede di aver) fiutato finemente la realtà dei fatti, ha definito «personaggi improbabili, miracolati» la maggioranza dei politici pentastellati. In particolare, ha dedicato una serie di «pensieri affettuosi» al trio composto da «il Di Battista, il Luigino Di Maio e il Fico». Attraverso un repertorio metaforico che attinge da pozzi popolari e cinematografici, dunque, Luigi Di Maio è «il chierichetto» (per il taglio di capelli? Per l’aspirazione a diventare “sacerdote” del M5s?) , Roberto Fico è «il moscio, ovviamente» (per lo sguardo fiacco o per la consistenza politica?), e Alessandro Di Battista, «detto Dibba» (con la doppia b articolata a rimbombare insigne disprezzo) è «il gallo cedrone» (vanitoso? Vano? Vanaglorioso?).
Di Battista, Di Maio e Fico, per De Luca, hanno una caratteristica comune: «sono tre mezze pippe», ossia tre incapaci, secondo la locuzione colloquiale romana (che conosce, se vi interessa saperlo, anche la variante mezze seghe). Nel dicembre 2015, il governatore della Campania aveva già definito Di Maio «un Charlie Brown», un inetto, un mediocre. E aveva tirato in ballo il suo curriculum vitae, in cui figurava l’esperienza come webmaster: «una formula elegante per non dire “lo sfaccendato”». E con il sobrio “sfaccendato”, siamo sicuri, quella volta cercò di essere elegante anche lui.
Secondo il deputato Pd Giampaolo Galli, il linguaggio di De Luca è «da educande, rispetto alle schifezze di Grillo e del Movimento 5 Stelle». E poco importa se il governatore della Campania ha concluso con un maliziosamente “gomorresco” e parossistico «vi pozzano accirere», “vi possano uccidere”.
Ogni volta che ci si esprime attraverso le parole, si compie una selezione all’interno del proprio vocabolario. Estraendo dal glossario personale taluni vocaboli – proprio quelli, e non altri –, si cerca di rendere l’idea, di restituire in termini il pensiero (termini che sono vere e proprie terminazioni, soppressioni, banalizzazioni, paralisi del pensiero). Ora, questa opera di selezione è operata anche da De Luca, costretto a soffocare in termini, povero diavolo, quello che pensa dei componenti del Movimento 5 Stelle (e chissà cosa, di peggio, pensa). Non sappiamo se i suoi (poco o molto, a seconda dei gusti) raffinati artifici linguistici siano estemporanei o frutto di ponderate meditazioni (qualche foglio davanti a sé De Luca ce l’ha, ma non possiamo dire quanto sia dettagliato). Ma è certo che, partorita in pochi istanti o in ore, ogni metafora è un gioco di equilibri. Proprio come la politica.
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