07-11-2016
Alla vigilia del rush finale tra Trump e Clinton, i successi e gli insuccessi di Obama
Era il lontano 2008 quando Barack Hussein Obama veniva eletto primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Oggi, otto anni dopo quel suo discorso, “yes, we can”, che conquistò gli americani con la promessa di un futuro più roseo per gli Usa, volgiamo uno sguardo al passato per capire il presente, proiettandoci al futuro. Cosa ne è dell’eredità di Barack? Con cosa dovrà fare i conti il prossimo presidente degli States? Ora toccherà a Hillary Clinton o a Donald J. Trump raccogliere i frutti dell'amministrazione di Obama.
Come in tutte le cose, c’è chi ricorderà Barack come uno dei migliori presidenti, e chi al contrario come uno dei peggiori. Ora, è il momento dei bilanci: da una parte i successi e dall’altra gli insuccessi. Certamente i due mandati di Obama hanno lasciato opinioni divergenti. Da una parte i successi in politica nazionale: la ripresa economica, avvenuta dopo un’elezione nel pieno della crisi economica che ha piegato l’America con gravi strascichi in tutta Europa, ne è la riprova. Obama ha infatti mantenuto un tasso di inflazione basso, con lui è calata la disoccupazione (4,9%) e il deficit pubblico (con Bush nel 2009 era di 1400 miliardi di dollari, con Obama nel 2015 438 miliardi), e ha fatto crescere le esportazioni e il mercato azionario. Nondimeno la sua riforma sanitaria, ribattezzata dalla stampa “Obamacare”, è una delle più importanti della storia d’America: nonostante i vari limiti (come il potere di ricatto delle assicurazioni), ha coperto 13 milioni di americani che prima non erano assicurati. Dall’altra parte però, si contano anche degli insuccessi. Innanzitutto la questione razziale che si è intensificata notevolmente e le violenze di polizia sono tornate al centro dei dibattiti. Neanche un presidente di colore è riuscito a risolvere questa situazione che è sfociata con la rivolta di Ferguson e i fatti di Baltimora.
Nonostante il ritiro delle truppe dall’Iraq, la riduzione della presenza militare in Afghanistan e la risoluzione degli inasprimenti con Cuba, la politica internazionale di Obama invece è un collage di scelte azzardate. Un editoriale del Wall Street Journal, pubblicato nel 2014, titolava: “Raramente un presidente degli Stati Uniti ha commesso così tanti errori a scapito di così tante persone”. Malgrado Barack abbia provato a rovesciare la strategia politica adottata da Bush, soprattutto dopo il disastro iracheno, l’atteggiamento degli Stati Uniti durante l'amministrazione Obama sul conflitto in Libia, come in Siria, non è stato da meno. Bush fu accusato sulla base del principio che la democrazia non si può esportare ne tantomeno imporre con le armi. Sulla Libia Obama fu spinto a entrare in guerra, nonostante la sua manifesta riluttanza, dalle insistenze mosse da Sarkozy e dal premier britannico David Cameron - tanto che alla Casa Bianca venne coniata l'espressione "leading from behind" (guidare da dietro le quinte) -. "Il mio più grande errore è stato non aver avuto un piano per cosa fare in Libia", ammise lo stesso Obama. La politica estera di Obama è stata segnata anche dall’inasprimento dei rapporti con la Russia, una fase di nuova guerra fredda, specialmente dopo le sanzioni inflitte a Putin con l’invasione della Crimea e la crisi in Ucraina; tensioni che peraltro si sono accentuate anche con il conflitto Siriano.
Dunque, quale il compito difficile che spetterà al nuovo presidente? Hillary o Trump si ritroveranno per le mani un’America divisa, culturalmente e ideologicamente; divisioni che già esistevano ma che si sono accentuate negli ultimi anni. Baltimora ne è la riprova. Da dietro le spalle invece la paura del terrorismo e la minaccia dell’Isis incombono. Nondimeno resta da risolvere le tensioni con la Russia e le minacce cibernetiche. Goodbye Obama!
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