30-10-2015
Un'attesa che oscillava dalle 4 alle 8 ore di fila
«Lasciate ogni speranza o voi che entrate». È il verso dantesco che sembrerebbe al meglio racchiudere il senso della visita al padiglione giapponese. Una vera e propria impresa faraonica che solo i più coraggiosi e arditi visitatori di Expo Milano 2015 hanno intrapreso: un'attesa che oscillava dalle 4 alle 8 ore di fila, tempo che qualcuno ha sfruttato scrivendo frasi ironiche sul legno della struttura.
Il gioco valeva la candela? Il Giappone ha di fatto avuto dei punti di forza, primo fra tutti l'originalità: il padiglione, che è stato progettato dall’architetto Atsushi Kitagawara, ha affrontato il tema “Diversità Armoniosa” che, come spiegato dalle guide all’ingresso, crede che nelle diversità coltivate risieda "una grande potenzialità per contribuire alla risoluzione di questioni globali, come le risorse nutrizionali". Da questo punto di vista, originale è anche il logo scelto dalla struttura espositiva: il motivo dell’Iwaibashi, un tipico bastoncino da tavola per le occasioni di festa, che è stato disegnato per richiamare la E della scritta Expo. C'è poi da considerare il fatto che il percorso interno al padiglione è stato pensato proprio per far entrare il visitatore all'interno della cultura giapponese. L'interazione la fa da padrone: si comincia entrando in una stanza che contiene alcune tipiche stampe giapponesi, che fungono da ingresso alla prima scena: "l'armonia", uno spazio rappresentante le quattro stagioni. Poi si prosegue nell'ambiente della "diversità", nel quale i visitatori potranno interagire con un’installazione che simula l’effetto di una cascata di acqua che cade dal soffitto, con oltre 1000 informazioni sulle coltivazioni e sulla cultura alimentare giapponese. Da qui, tramite dei corridoi in cui sono appese vetrine con i vari cibi tipici della cucina giapponese, dal sushi al sashimi, si giunge nella stanza "dell'innovazione": tramite dei mappamondi illuminati il visitatore potrà scorrere una serie di immagini relative ai problemi presenti in ogni area geografica. Infine, dopo aver superato la "galleria di design", il percorso si concluderà con un finto "ristorante multimediale", dove due camerieri spiegheranno il significato di due importanti parole giapponesi: “Itadakimasu” e “Gochisousama”, rispettivamente “grazie per il cibo che ricevo” e “grazie per il cibo ricevuto”.
Detto questo, va però considerato un problema di fondo: la disorganizzazione del flusso di visitatori. Di fatto il Giappone non era preparato ad accogliere questo bacino di utenti: una visita di circa 40 minuti per una media di 20 persone per volta, non può avere delle attese così lunghe. In pratica valeva la pena acquistare direttamente un biglietto aereo e volare a Tokio! Perdere più di mezza giornata, considerando gli orari di apertura e chiusura di Expo (dalle 9 di mattina fino alle 20, perché poi i padiglioni non erano più aperti al pubblico), non era fattibile, specialmente se le aspettative poi non venivano soddisfatte. Così i visitatori, stanchi, prima di entrare nel padiglione del Giappone hanno dato sfogo alla loro ironia scrivendo frasi sul legno della struttura. Un gesto in contrasto con la politica del «self control» giapponese, ma che è diventata il senso della lunga attesa.
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