09-12-2015
Il giallo Carrisi resta tale, il cadavere della donna uccisa nel ’94 non appartiene alla figlia di Albano e Romina
Il cadavere, che si riteneva fosse di Ylenia Carrisi, non è il suo. Il confronto tra i campioni di DNA di Albano e Romina con quelli della donna assassinata nel 1994, dal camionista Keith Jesperson, risulta negativo. La conferma effettiva giunge dallo sceriffo Dennis Haley, che si è occupato del caso della donna uccisa, rinvenuta negli Stati Uniti e che si credeva fosse Ylenia. Proprio di Ylenia, si persero le tracce nel 1993, quando il suo viaggio negli States la portò a New Orleans.
Al periodo risale l’omicidio di una ragazza che si faceva chiamare Suzanne (nome utilizzato da Ylenia negli Stati Uniti) a Holt il 15 settembre 1994, perpetrato da Jesperson, in carcere in Oregon per scontare i tre ergastoli legati all’omicidio di ben otto donne. L’identikit della vittima risultava somigliante ad Ylenia, così da far congetturare agli inquirenti la possibilità che, l’ultima vittima non identificata, fosse proprio lei. Le analisi sul DNA smentiscono la tesi della polizia statunitense. Dunque ancora non è possibile scrivere la parola fine al mistero sulla scomparsa della primogenita della coppia Carrisi – Power.
Nella puntata di questa sera del programma “Chi l’ha visto?” su Rai3, lo stesso agente speciale Haley, spiegherà la vicenda ai telespettatori italiani. Strano a dirsi fu l’antefatto del racconto: alcuni spettatori di una tv americana, dopo la confessione di un serial killer e dopo l’appello televisivo dello stesso Haley per identificare la vittima, sottolinearono la possibile connessione tra i casi. Qualche settimana fa, i carabinieri di Brindisi prelevarono campioni di DNA da Albano e dagli altri tre fratelli di Ylenia e, successivamente, anche dalla madre a New York. Le analisi furono anche sollecitate dall’Interpol, purtroppo con i risultati già descritti. Del tutto scettico rimase Albano, che nel 2014 ottenne dal Tribunale di Brindisi la dichiarazione della morte presunta di Ylenia: fu un atto dovuto per “metter fine a vent’anni di martirio”.
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